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“So, this is my life. And I want you to know that I am both happy and sad and I'm still trying to figure out how that could be.” ― Stephen Chbosky
We must not expect happiness. It is not something we deserve. When life goes well, it is a sudden gift; it cannot last forever.

6.30.2012

Leggenda Giapponese: LA FARFALLA BIANCA

In una casetta dietro il cimitero del tempio di Sozanji viveva un vecchio di nome Takahama. Era molto amabile e piaceva a tutti i suoi vicini, anche se molti di essi lo consideravano un po’ pazzo. A quanto sembra la sua pazzia consisteva semplicemente nel fatto che non si era mai sposato e non aveva mai mostrato desiderio di restare in intimità con una donna. 
Un giorno di estate si ammalò tanto gravemente, che mandò a chiamare la cognata e il figlio di lei. I due arrivarono e fecero tutto ciò che potevano per dargli sollievo nelle sue ultime ore. Mentre lo vegliavano, Takahama si addormentò. 
Poco dopo una grande farfalla bianca volò dentro la stanza e si posò sul cuscino del vecchio. Il ragazzo cercò di cacciarla via, ma quella tornò tre volte, come se fosse riluttante ad abbandonare il malato. Alla fine il nipote di Takahama riuscì a farla uscire in giardino e a farle attraversare il cancello fino a farla entrare nel cimitero, dove si posò sulla tomba di una donna e misteriosamente scomparve. Osservando la tomba, il giovane trovò il nome “Akiko” scritto su di essa, insieme a un epitaffio che raccontava come Akiko era morta all’età di diciotto anni. Benché la tomba fosse ricoperta di muschio e sembrasse costruita decenni prima, il ragazzo notò che era circondata di fiori e che il piccolo serbatoio dell’acqua era stato riempito di recente. 
Quando il giovane tornò alla casa, Takahama era ormai spirato. Si rivolse alla madre e le raccontò quello che aveva visto nel cimitero. 
«Akiko?» mormorò la madre. «Quando tuo zio era giovane, fu fidanzato con Akiko. La ragazza morì di tubercolosi proprio il giorno prima delle nozze. Quando lasciò questo mondo, tuo zio decise che non si sarebbe mai sposato e che avrebbe vissuto per sempre vicino alla sua tomba. Per tutti questi anni ha mantenuto la sua promessa e ha conservato nel cuore tutti i dolci ricordi del suo unico amore. Tutti i giorni Takahama si recava nel cimitero, sia che l’aria fosse profumata dalla brezza dell’estate, sia che fosse appesantita dalla neve che cadeva d’inverno. Tutti i giorni pregava che lei fosse felice, bagnava la tomba con le sue lacrime e portava dei fiori. Adesso che Takahama stava morendo e non poteva più svolgere il suo compito amoroso, Akiko è venuta per lui. Quella farfalla bianca era la sua anima dolce e innamorata».

6.28.2012

Becoming a geisha - Memoirs of a geisha


6.27.2012

- Kuroi manekineko 黒い招き猫 -: Mineko Iwasaki 岩崎 峰子

- Kuroi manekineko 黒い招き猫 -: Mineko Iwasaki 岩崎 峰子: Come vi avevo detto in un post precedente, leggendo "Storia proibita di una Geisha" mi sono innamorata dell'autrice, nonchè protagonista de...

6.24.2012

Touching....

Il suo collo era così bianco che mentre lei parlava non potevo fare a meno di non ascoltarla. Dovevo semplicemente toccare quella nuda nuca. Mentre lasciavo che le mie dita massaggiassero la sua tenera pelle non potevo fare a meno di ringraziare quel fermaglio rosa che sosteneva i suoi capelli in modo così tenace. Era lui, in fondo, a spogliarla definitivamente. Ammiravo perso quel confine indefinito tra i suoi capelli e il nudo rossore del collo. Guardavo stupido la semplice vita che contraeva quei muscoli così dolci, così minuti, così fragili lasciati là, tra le mie mani, screpolate e ruvide. Tra i miei pollici che adesso massaggiavano l’aria che il suo respiro mandava giù, verso quel petto che mi affrettavo a percorrere per non perdere nulla di quel respiro. Non potevo neppure fare a meno di ringraziare l’acqua calda che ci accoglieva in quella vasca stretta, che ci costringeva a stare l’uno sull’altro, petto contro schiena, dopo l’amore. Lei parlava ma io la ascoltavo appena, ma non perché fossi altrove, anzi, ero forse troppo là, fisso su quel collo, là davanti a me, dolce, fragile e delicato. Un collo che diventava femminile tra le mani di un uomo. Ci sono momenti speciali in giornate speciali che ti rimangono impressi nella mente ben più nitidi di altri. A volte capita, inspiegabilmente, che non siano i momenti che uno potrebbe considerare più intensi, come durante l’amore. A volte capita che siano quelli della quiete, subito dopo. A volte capita che la fragile bellezza del collo nudo di una donna ti colpisca più di ogni altra cosa ed allora sai che di quel giorno, per quanto pieno, per quanto intenso, per quanto folle, tu conserverai quella sola immagine. Penso dunque che, di questo giorno così speciale per me, ricorderò per sempre il candore dolce di quella pelle. Penso che, anche se lei non lo sa, sia il regalo più bello che mi abbia fatto.

Source: Un piccolo e semplice regalo

6.19.2012

Il canto delle farfalle

Un giorno il Creatore, mentre seduto se ne stava riposando, osservò dei bambini che giocavano in un villaggio. I bambini ridevano e cantavano, ma tuttavia, mentre li guardava, sentiva che il suo cuore era triste. 

Pensava: « Questi bambini diventeranno adulti. La loro pelle si raggrinzirà, i loro capelli diverranno grigi ed i loro denti cadranno. Il braccio del giovane cacciatore perderà il vigore e queste amorevoli ragazzine diverranno brutte e grasse. I cuccioli giocherelloni diverranno ciechi cani rognosi, e quei meravigliosi fiori —gialli e blu, rossi e purpurei — appassiranno. Le foglie cadranno dagli alberi e seccheranno. E stanno già diventando gialle! ».

 Perciò il Creatore si sentiva sempre più triste. Era autunno, ed il pensiero dell'inverno che stava arrivando, con il suo freddo e la scarsità di selvaggina e di verde, rendeva il suo cuore sempre più triste. Tuttavia faceva ancora caldo ed il sole stava splendendo. Il Creatore osservò il gioco della luce del sole e delle ombre sul terreno, mentre le gialle foglie erano sospinte qua e là dal vento. Vide l'azzurro del cielo e la bianchezza della farina macinata dalle donne; e d'un tratto sorrise. Pensò: « Tutti questi colori, dovrebbero essere preservati. Farò qualcosa che rallegrerà il mio cuore, qualcosa che questi bambini guardandola ne gioiranno ». Il Creatore tirò fuori la sua borsa e cominciò a raccogliere delle cose: una macchia di luce solare, una manciata di blu del cielo, la bianchezza della farina, l'ombra dei bambini che giocano, il nero dei capelli corvini d'una bella ragazza, il giallo delle foglie cadenti, il verde degli aghi di pino, il rosso, il viola e l'arancio dei fiori che gli erano attorno. Mise tutte quelle cose nella sua borsa e, dopo un ripensamento, vi aggiunse anche il canto degli uccelli. Poi andò nel luogo erboso dove i bambini stavano giocando e chiamandoli porse loro la borsa: « Bambini, piccoli bambini, questo è per voi. Apritela, c'è qualcosa di bello dentro ». I bambini aprirono la borsa e all'istante centinaia e centinaia di farfalle colorate volarono via, danzando intorno alla testa dei bambini, posandosi sui loro capelli, tornando a battere le ali per sorseggiare il polline da questo o da quel fiore, ed i bambini incantati dicevano che non avevano mai visto niente di così bello. Le farfalle cominciarono a cantare, ed i bambini ascoltavano sorridendo. Ma in quel momento un uccello canterino arrivò volando, si posò sulla spalla del Creatore e lo rimproverò dicendo: « Non è giusto che tu dia le nostre canzoni a queste nuove graziose creature. Quando ci hai fatto ci hai detto che ogni uccello avrebbe avuto un suo canto. Ed ora l'hai dato anche a loro, a caso. Non è sufficiente che tu abbia dato ai tuoi nuovi balocchi i colori dell'arcobaleno? ». « Hai ragione », ammise il Creatore. « Ho creato un canto per ogni uccello e non avrei dovuto prendere ciò che vi appartiene ». Così il Creatore tolse i canti alle farfalle, ed ecco perché sono silenziose.
« Sono belle anche così! » pensò.

Leggenda Indiani d'America

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6.10.2012

"Ma tu come fai?”

"Ma tu come fai?” mi chiede un’ amica, che sta attraversando un momento buio. Tu come fai, con tutto quello che ti è successo e che ti continua a capitare?

 Infatti non ce la faccio. Mi arrendo, tutti i giorni. In ogni momento. Ma non c’è nessuno ad accettare la mia resa. Sono da sola con le mie delusioni, il mio fallimento. Da sola con le mie incapacità e i miei difetti. E non c’è nessuno a cui consegnare le armi per smettere di lottare. Nessuno di fronte a cui addossarmi le mie responsabilità. Nessuno che mi prenda in consegna e mi punisca per le mie mancanze, per aver scelto le battaglie sbagliate da combattere. Per aver perseverato nel tenere un avamposto, un ponte, quando non c’era nessuna speranza. Per aver tradito i miei commilitoni. Per essermi ritirata vigliaccamente in angolini protetti invece di uscire nella battaglia a fronte alta e fucile in spalla. Non c’è nessun altro che non sia io, che sono il mio peggior giudice. E infatti mi condanno e mi punisco ogni giorno, ma poi il giorno dopo sono sempre qui.

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